venerdì 10 settembre 2010

Laura e il portato karmico


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-          Pagherei per avere un motivo per alzarmi presto la mattina. –
Laura sta seduta davanti a me, girata per tre quarti sulla sedia di legno nel buio seminterrato del pub in cui facciamo l’aperitivo. Tiene il braccio sul tavolo, non si è tolta il giubbotto di pelle, e dalla zip aperta sul petto spunta la lingua rossissima dei Rolling Stones. Accarezza lo stelo di un bicchiere di vino rosso, fruttato e fermo, e parla in fretta, la voce bassa e mascolina che esce serrata dalle guance, trattenuta come se ogni parola prima di essere pronunciata dovesse passare un rigido check in mandibolare.
-          Me ne porti un altro? – la cameriera è una ragazza giovane e ben piazzata, coi capelli cortissimi. Si muove netta e scattante, allunga liste e prende ordinazioni piazzandosi a gambe aperte ad un capo dei tavoli. Dà l’idea di non lasciare residui. Di essere sicura di qualcosa.
Laura scuote la testa quasi in continuazione mentre parla, come a dissentire, a sottolineare che lei no, proprio no, non se ne fa una ragione. Quando ascolta invece mi guarda fissa, gli occhi chiarissimi e fermi che fanno capolino da sotto la frangia. Occhi seri.
No, Laura non se ne fa una ragione.
-          Non un motivo qualunque, intendo. Vorrei qualcuno che mi dicesse di alzarmi alle sei di mattina per andare a fare una qualsiasi cosa in cui ci possa mettere la mia dannata anima –
Queste ultime parole sono sottolineate dalla sua mano che si alza, e dandomi le nocche compie un ritmico avanti e indietro mentre con il pollice si torce l’anello di brillantini al medio. L’anello so che era di sua nonna e mi ha sempre ricordato la spilla di Velvet Goldmine. Il gesto è molto rock’n’roll.
Già, perché Laura è la persona più rock’n’roll che conosca. Poche storie, è così. La mia bibbia personale degli anni settanta, quella che si legge i libri di Pamela De Barres in lingua originale  e passa 24 ore al giorno a “suonare nella sua testa”. 
Non ne conosco molte di persone così. Di persone che hanno passione, una passione silenziosa e accorta, quasi devozione. Un sentimento dedito di amore, che rimane puro e dignitoso anche quando è costretto ad abbassare la testa.  Questo sì che è vero amore, penso mentre Laura mi parla della retrospettiva che si sta facendo su David Hemmings, dell’aneddoto sulle preghiere blasfeme di Marlon Brando mentre possiede analmente Maria Schneider. Per ennesime volte mi racconta dell’infanzia difficile di Janis e dei suoi amori lesbo, o di Hendrix che si lancia le pasticche in bocca e strimpella coi denti. Ogni volta il suo distacco è insieme clinico e responsabile, come una buona madre manda il figlio a scuola controvoglia. Tutte queste storie sono sue, le cova in grembo durante nottate insonni davanti all’ennesimo splatter di Fulci o attaccata allo stereo coi Led Zeppelin a manetta. Le cova in grembo e a qualcuno deve pure darle, penso mentre la sua voce cadenzata parla e parla, e - ci sono così poche persone con cui condividere, le poche persone con cui puoi si rivelano poi degli stronzi sotto altri punti di vista - .
  
C’è posto? C’è posto qui, in mezzo ai bordi bui che colano a picco nel nulla, per un amore così?
Scolo l’ultimo sorso della mia Weiss e le sorrido, le sorrido tanto. È solo la prima birra, ma mi sembra già tutto edulcorato, i pensieri perdono dimensione e galleggiano sottili come cartacce. Forse ci stanno davvero togliendo respiro. Forse tra poco proveremo a inspirare e qualcuno ci bloccherà l’espiro, trattenendoci dal dare tutte quelle cose che abbiamo covato dentro nelle notti insonni e nei pomeriggi degli anni novanta. Quando c’era il principe di Bel Air e il gingle del polletto Vallespluga.
Forse davvero stiamo andando verso una concentrazione di diverse proporzioni, in cui una bidimensionalità zuccherosa col sorriso al silicone raggiungerà l’80% e come in un grande ospedale dell’anima ci saranno stanze da chiudere su tutto ciò che abbiamo sempre definito essere vitale, incontrollabile, imprevedibile, amorevole. 

Quello di cui Laura non si fa una ragione ha a che fare con il buio all’orizzonte. Con il redattore del giornale per cui scrive che si dimentica di avvisarla quando saltano di pubblicarle un pezzo, che le viene pagato 40 euro. Non si fa una ragione dei curriculum inviati alle redazioni e dei posti presi da persone che – cristo santo, non sa nemmeno chi è Alex DeLarge.

Dopo l’aperitivo ci dirigiamo vero un sushi bar. Mentre camminiamo nel tepore ocra di una tiepida serata settembrina, sono consapevole di essere la prima a fare proselitismo e la prima a non trovare niente di meglio da fare, in un momento in cui l’Italia sta andando a rotoli, che andare a mangiare sushi. Dentro il locale ci conoscono, il cameriere cine- giapponese (o forse è un calabrese che si è allungato gli occhi con le mollette, il dubbio fa parte del folklore) ci guida verso il solito tavolo accogliendoci con le solite molte elle.
Due sushi b e sakè. Un nigiri le scappa dalle bacchette e le si va a infilare dritto nel mezzo della folta chioma castana lasciata cadere sulle spalle. Scoppiamo a ridere.
Laura si mette a scimmiottare un balletto da seduta, piegando i gomiti per ondeggiare in su le mani.
-          Potrei sostituire Tim Curry in un remake giappo – trash del Rocky Horror Picture Show –
-          Non so se la variante giapponese potrebbe superare in trashaggine l’originale! –

Caffè e grappa di rose, la serata finisce in centro città.
Seduti accanto a noi ai tavolini del bar all’aperto c’è una mandria di diciott’enni. Stanno in silenzio e sorseggiano cocktail, i capelli stirati davanti al viso, alcuni si tengono per mano, altri si guardano intorno e se si incrociano lo sguardo dicono – cazzo vuoi?! – ghignando un attimo per poi tornare alle espressioni da tonni.
Quando mi inalbero nel mezzo di un discorso di politica si girano e mi guardano come se avessi delle corna verdi fosforescenti. Per un secondo vengo scossa da un fremito di horror vacui che mi incita a zittirmi, poi alzo la voce e continuo a parlare. Che sentano, che sentano bene anche.
-          Se non condividono, almeno imparano no? – dico a Laura che continua a scuotere la testa.

- Quest’anello era di mia nonna. – fa toccandosi il dito a occhi bassi in un momento di silenzio.  
- Lo so -
- Ti ho mai raccontato la sua storia? –
- Mm, non mi sembra – accavallo le gambe e do un sorso di birra. Il boccale mi è particolarmente vicino in questo momento di solitudine in cui tutta la mia figura sembra bucare l’atmosfera patinata del locale. Onesta, vecchia birra. Tu sola t’intoni con i mie stivali scamosciati, il giubbotto di jeans e lo snake comprato alle bancarelle.
- Mia nonna era alcolizzata, è vissuta non si sa come fino a novantatrè anni e fino all’ultimo giorno della sua vita ha bevuto. L’hanno trovata nel letto con una bottiglia di whisky nascosta sotto le lenzuola. - 
-  Mio dio –
- Già. A volte penso che in qualche modo io debba pagare per delle cazzate che qualcuno ha fatto prima di me –
- Spiegati meglio –
-  Nel senso, prendi mia nonna. Ha fatto quello che ha voluto tutta la vita, senza pagarne le conseguenze. Senza affrontare le cose di petto, senza esserne consapevole –
- Sì. Anche mio nonno era alcolizzato. Ma forse il regresso delle cause è davvero infinito … -
- Prendi i nostri genitori, o la generazione appena successiva. Si sono mangiati tutto. Potevano avere la vita che volevano, beh magari non completamente, ma una certa idea di futuro ce l’avevano a disposizione –
Laura si scuote la testa, questa volta per portarsi i capelli dietro la schiena. Mangia una meringa che il cameriere ha portato insieme al suo White Russian, il suo cocktail preferito, come ne “Il Grande Leboswski”.
-          Un altro giro? – annuisco. – Voglio semplicemente dire che la mia punizione potrebbe anche solo essere nata in quest’epoca. Qui e ora. E con dei genitori così –
-          Così come? –
-          Così che ti fanno sentire incastrata. Che vogliono darti amore e possibilità ma che poi non si fidano delle scelte che fai. Che non riescono a vedere il tuo rapporto con il mondo - 
Secondo l’astrologia karmica, le colpe di cui si è macchiato il nostro spirito nelle vite passate, tornano a riproporsi in quella attuale. Veniamo addirittura attratti, per nascere, da una coppia di genitori che può darci la possibilità di compiere il nostro destino e sbrogliare il nostro nodo karmico.
Non solo, ma anche i reati morali, etici e spirituali, che sono stati commessi dai nostri avi possono influire sulla nostra vita attuale, procurandoci dei dolori e degli avvenimenti sfortunati a cui non siamo preparati e che non abbiamo messo in conto.


Quando l’ho guardata nuovamente, il viso di Laura era diventato cadaverico. Penso di aver bevuto un po’ troppo, mi ha detto alzandosi e andando barcollando a pagare il conto.
Le ho fatto fare una passeggiata per farla smaltire. Poi l’ho caricata in macchina e sono partita. Dopo nemmeno un chilometro la sua testolina liscia si sporgeva dal finestrino.
Ho fermato la macchina e l’ho fatta scendere.
-          Aspetto che prima ti lego i capelli – le ho detto passandole una mano sotto la vita e l’altra sulla fronte – andrà tutto bene – ho aggiunto.
-          Sì, dopo andrà sicuramente meglio – mi ha detto lei prima di chinarsi sul ciglio della strada.